Una società senza orecchie

1999, BZ – Rumori
Di Giorgio Mezzalira

GM: Quale futuro vede per la musica alle soglie del nuovo millennio?
Prima di parlare di musica, comincerei a parlare di uomo e di ambiente, che con la musica comunque c’entrano. L’ambiente è massicciamente inquinato, tanto da dover temere che il pianeta, nella sua globalità abbia subito danni irreparabili. L’individuo, con la testa riempita delle finzioni dei media, è sempre più tormentato dall’incertezza; inoltre non solo è insicuro a riguardo delle proprie prospettive, ma è pure costretto a dubitare della moralità di un mondo dominato da una meritocrazia tecnologica che, per profitto, è disposta a devastare l’ambiente e a facilitare la costituzione di una condizione post-umana. Va detto, poi, che sempre meno persone nutrono dubbi su un futuro totalmente dominato dalla tecnologia e da un’élite di professionisti/manager di mega-aziende, e dai metodi adottati per raggiungere questo futuro. Forse non interessa più a nessuno chi convaliderà i nostri passaporti, sia esso un funzionario governativo, un dirigente della Walt Disney o della Fiat. Dobbiamo però ricordare che nuovi dei hanno portato brutte notizie, riti di sofferenza e autonegazione, e hanno avuto bisogno di oracoli, culti e sacerdoti per spiegarli. La gente è stata sempre pronta a fare un gesto estremo per rabbonire il nuovo dio, e la pratica del sacrificio umano è tra le preferite, sia che esso debba essere o no cruento.

GM: No future allora?
Direi che il NO FUTURE, slogan della generazione punk, sia il commento più pertinente a questo stato di fatto. Ed è forse lecito cominciare a chiedersi come stiamo cambiando. Anche sotto il profilo genetico. Basti pensare alle nostre orecchie sottoposte all’allarmante aumento dell’inquinamento acustico. Siamo inondati di musica/rumore che ci accompagna nelle attività quotidiane, che ci piaccia o no. Quasi nessuno ascolta questa musica; quasi non ci accorgiamo che esiste, ma si insinua, si sedimenta per sovrapposizioni. In questo modo la nostra sensibilità, ma anche la nostra capacità di udire, cala. Siamo esposti a livelli di decibel insopportabili. Nelle zone urbane soprattutto siamo assaliti da un’invasione persistente e ripetitiva. Ci stiamo abituano a reagire solo allo stimolo sonoro che supera un certo limite di volume, tanto che la musica riesce a commuoverci raramente poiché siamo sopraffatti da altri disturbi. In conseguenza dell’inquinamento sonoro, fra non molto, una gran parte della popolazione sentirà solo con l’aiuto di protesi acustiche. Già sono stati fatti investimenti sostanziosi per lo sviluppo e la sperimentazione di una società senza orecchie. E, d’altra parte, non è forse ormai routine mediare la nostra comprensione spaziale attraverso un paio di occhiali e lo schermo rettangolare di un computer e di una tivù o di un lunotto d’automobile ? C’è già una nutrita lista d’attesa per il cosiddetto “orecchio bionico”, un’apparecchiatura in grado di fare le veci dei canali auricolari. E’composto da un microfono ricevitore che raccoglie le informazioni esterne e un processore che le elabora e le trasmette in segnali.

GM: In questo contesto che posto ha la musica?
Ottavio Paz affermava che ogni volta che una società si trova sull’orlo della crisi, si rivolge istintivamente verso le sue origini per cercare un segnale rassicurante. Dal punto di vista del musicologo non suggerisco un ritorno all’antico, né propongo la ripresa di forme collaudate da tempo. Penso invece che la crisi di cui parlava Paz sia giunta al capolinea, e che, per guardare al futuro con maggiore chiarezza, bisogna comunque cercare ulteriori spunti di crescita nel nostro passato, anche nel nostro passato musicale. Forse vale la pena di riflettere sulla probabilità che l’ultima cultura globale e verace, dotata di un idioma idoneo ad articolare esperienza di vita e mondo dei sogni, sia stata quella dell’età della pietra.

GM: La sua è una risposta di estrema resistenza rispetto ai fenomeni di globalizzazione e di omogeneizzazione imperanti?
La mia affermazione non deve suonare strana. Nelle società arcaiche la musica si è sviluppata per motivi e attività sociali ben specifici, e non per qualche astrusa forma di intrattenimento. La musica è stata spesso usata in contesti rituali per aprire le porte della mente a una ricezione psico-religiosa molto lontana dagli schemi razionalistici. Spesso è stata usata per guarire, per rielaborare il lutto, per accompagnare e rendere meno faticoso il lavoro e per altre mille funzioni, che conosciamo. Insomma al di là del razionalismo moderno, nel quale ci troviamo impantanati, molti riferimenti musicali risiedono nella remota antichità, nelle culture magiche e mitiche: più di un qualsiasi altro linguaggio artistico, la musica permette all’ascoltatore di trascendere il mondo intorno a sé e di scoprire che possiede un lato interiore, nascosto.
Oggi non c’è memoria o curiosità riguardo al passato, soprattutto per la musica e le sue antiche funzioni: il passato sta sparendo dall’immaginazione dell’individuo. Non esiste la capacità di concentrazione immaginativa, non c’è la capacità di viaggiare nel passato meno recente, immedesimandosi in altre realtà e in altri valori, tramite la lettura, il suono o altre discipline artistiche.

GM: Come può oggi interpretare il suo ruolo chi fa musica o chi si occupa d’arte?
Il ruolo del compositore, come quello di ogni altro artista contemporaneo si fa sicuramente più difficile. In confronto ad oggi i Modernisti godevano di tempi migliori, dato che dovevano solo rifiutare tutto quello che era successo prima di loro per proclamare un ordine nuovo. Ora che i pubblicisti e i creatori di immagini prevalgono nel mondo dell’arte, comunicare con la maggior parte delle persone è fondamentale, altrimenti l’arte viene giudicata d’élite. Peraltro si pretende che la cultura venga abbinata ai prodotti: un disco recente delle Spice Girls si può ascoltarlo solo se si compra una lattina di Pepsi Cola. Sono fenomeni costruiti solo a scopo commerciale; sono dei falsi fenomeni, così come anche il movimento della New Age, che pontifica sulla nuova dimensione del sacro. La stessa musica diffusa via radio o con altri mezzi massmediologici viene scelta per il suo contenuto blando e per la sua qualità prosaica: il pubblico non va stancato, il pubblico non va sollecitato. All’uomo senza qualità piace ascoltare qualcosa di rassicurante, qualcosa che conosce già. Anche per questo l’ndustria musicale ripete la stessa formula, anno dopo anno, onda dopo onda. Si ascolta in continuazione musica nostalgica o musica già orecchiata e che non ricordiamo bene di aver sentito.

GM: Insomma, mentre scienza e tecnologia fanno passi da gigante l’arte resta al palo: quali sono i motivi?
Credo che uno dei motivi per cui l’arte in questo secolo non si è evoluta allo stesso ritmo della scienza lo si debba a motivi di convenienza politica. La paura – uno dei vecchi strumenti del potere – ha creato una cultura dai substrati nostalgici, tanto che la cosiddetta musica ”seria” negli ultimi decenni è stata vista come luogo di comodo dove i problemi possono essere dimenticati. Organizzazioni burocratiche – di tipo governativo o regionale – tengono artificialmente in vita forme musicali e modi di interpretarli che a dir poco si debbono definire obsoleti ed esausti. E le stesse corporazioni musicali protette vedono l’ipotesi di un qualsiasi sviluppo artistico come una minaccia per la loro stessa esistenza. E’pure utile ricordare come la musica sia sempre stata usata per celebrare e consolidare il potere. E, quando non irreggimentata, comunque sottoposta a censura. Nei paesi con strutture di comando molto rigide i cambiamenti delle formule musicali sono sempre state minime, anche nelle singole interpretazioni dell’esecutore. C’è stato e c’è un progressivo impoverimento espressivo del linguaggio musicale. Vorrei citare a mo’di esempio i talking drums, che collegavano la musica ritmata con la danza e con la comunicazione a distanza. Ebbene, furono aboliti dall’egemonia bianca tra gli schiavi del Trinidad allo stesso modo in cui le musiche sacre in Europa furono forzatamente vocali: i tamburi nel medioevo cristiano erano vietati, dato che erano visti come una specie di deviazione satanica, quando non li si usava in ambito militare. E questo per l’evidente carica ossessiva e di stordimento che la percussione dello strumento porta con sé. Nella stessa musica orchestrale le percussioni vengono adoperate come componenti ornamentali o di circostanza.

GM: A questo punto mi viene di tornare a porle la domanda iniziale: quale futuro vede per la musica alle soglie del nuovo millennio?
Strano a dirsi, eppure i primi segnali di una realtà nuova stanno emergendo proprio da quell’inquinamento sonoro a trecentosessantagradi che caratterizza la cultura trash contemporanea. Muniti di apparecchiature tecnico-scientifiche nemmeno molto costose, tutti, oggigiorno, possono rubare o copiare idee, immagini, suoni, tanto nessuno potrà riconoscere la provenienza del modello. Oggi sono i cosiddetti sound hackers che catturano ogni rumore capace di stimolare la loro fantasia e lo rielaborano, mixando, dandogli forma di linguaggio, artistico, creativo. Ritmo e rumore; non c’è cultura sul pianeta che non abbia trovato un accordo tra queste due forze elementari. Nella teoria della comunicazione il segnale è parte del messaggio che contiene un significato. Il altre parole, il rumore è pari al nonsenso. Ma il segnale di oggi diventerà il rumore di domani, e viceversa il rumore di oggi sarà presto goduto come il segnale di domani. C’è un nuovo mondo dedicato al suono e nuove possibilità espressive emergono dal software. Sono segnalazioni di linguaggi musicali originali in evoluzione. Musicisti ispirati cominciano a trasformare gli elementi di quell’invasione sonora in musica eccitante e inquietante. Chissà, forse questo è l’inizio di un’espressione artistica gloriosa e innovatrice, pari a quella del gospel nero.