La poesia di Kuipers tra le fiamme danzanti di Sciola
2009, Cinemecum
Di Anna Brotzu
Ha firmato le musiche di “Mary” e “Go Go Tales”, come del recentissimo docu-film “Napoli, Napoli, Napoli” di Abel Ferrara. L’artista anglo olandese che ha fatto dell’Italia la sua patria d’elezione racconta la sua passione per la musica, tra poesia, cinema & blues. Di Anna Brotzu
«Ho la fortuna di lavorare con artisti che ammiro, degli autentici geni, con cui esiste una vera e profonda intesa e moltissima libertà di creare in un aperto confronto di idee»: è il segreto su cui Francis Kuipers ha costruito la sua straordinaria carriera di musicista e compositore, che s’intreccia a più riprese con la storia del cinema e della cultura tra Novecento e Terzo Millennio. L’autore della colonna sonora di “Napoli, Napoli, Napoli”, il docu-film di Abel Ferrara che indaga le molte anime e sfaccettature della città partenopea (e sarà verosimilmente a Venezia) si racconta tra i bagliori delle fiamme danzanti e l’eco delle pietre sonore nel giardino-laboratorio di Pinuccio Sciola a San Sperate.
La magia ancestrale di una serata sotto le stelle dell’isola si riempie così dei ricordi di un’esistenza scandita da preziosi e «fondamentali incontri con persone speciali come Gregory Corso, l’angelo della poesia beat, e Philip Glass, con cui ho collaborato per le musiche di “Naqoyqatsi” e di “Anima Mundi” di Godfrey Reggio, e poi Abel Ferrara, che apprezza molto il mio stile chitarristico, quindi oltre a comporre, mi capita di suonare per lui, e insieme a lui», come dice concedendosi un sorriso. In Sardegna per la presentazione dell'”European Jazz Expo” che avrà luogo in autunno (ma già si annuncia nei concerti dell’itinerante “Aspettando l’EJE”) Francis Kuipers vanta antichi legami con la terra al centro del Mediterraneo, e con il maestro di San Sperate, anfitrione della serata: «Conoscevo Pinuccio, ero stato nel suo studio con Gregory (Corso), abbiamo scoperto d’esser stati “compagni di scuola”, tutti e due allievi di Kokoschka. E a Roma ho incontrato un altro artista formidabile, Antonello Salis: abbiamo fatto insieme anche molte trasmissioni, ci piaceva improvvisare».
Mentre la sua prima volta nell’isola, in anni ancora pionieristici per le tournées e l’organizzazione di concerti e manifestazioni, si tinge d’una nota avventurosa, tra chiavi dimenticate e scomodi sonni in macchina. Il fil rouge che attraversa tutta l’esistenza e le esperienze professionali di Kuipers è però la passione per la musica; al leggendario talento per la sei corde, donde l’appellativo di “Superguitar”, si aggiunge una naturale curiosità e attenzione ai diversi contesti sonori, che lo ha portato fin nei territori della decima musa
Come si è avvicinato al mondo e ai linguaggi del cinema?
Le mie radici sono nel blues, poi l’incontro con Godfrey Reggio e Philip Glass mi ha permesso di scoprire attraverso “Anima Mundi” e la “Qatsi Trilogy” un modo differente e particolare, estremamente raffinato, di esprimersi con i suoni in un racconto senza parole costruito come un concerto.
Rispetto a quel modo di trattare le immagini e i musica, la mia formazione era ancora piuttosto “naif”, un approccio più immediato e quasi fisico, attraverso uno strumento. Scrivere per il cinema richiede una grande attenzione a quello che succede sullo schermo, bisogna interagire con il regista, comprenderne il messaggio, cercare di ampliarlo, trovare delle corrispondenze, senza tradirlo. La colonna sonora è molto importante per sottolineare le emozioni, e il ritmo del film, e può cambiare il significato, dare un’interpretazione completamente diversa. Come nella vita, è importante soprattutto imparare ad ascoltare: c’è tanta musica intorno a noi
Quali sono le peculiarità della musica da film?
Al cinema non c’è spazio per narcisismi, si cerca semmai di far funzionare il film, e ogni volta è diverso. In “Napoli, Napoli, Napoli” ho cercato di far sentire le musiche nella testa dei personaggi, di rendere la forza segreta, la vitalità esplosiva, la tensione di una città sotto il vulcano, per far percepire il dramma di quelle vite. In “Mary”, sulla storia di Maria Maddalena, il suono veniva da sopra, esprimeva il pensiero dei personaggi maschili, che non apprezzavano il fatto che una donna avesse un tale potere, e lei già nei Vangeli, e soprattutto negli apocrifi, è una figura davvero carismatica; così ho cercato di immaginarmi al di là delle parole i loro pensieri più veri e più nascosti
Il sodalizio con Ferrara supera i confini del set…
Abel (Ferrara) e io abbiamo una grande sintonia; suoniamo anche insieme, e su YouTube si trovano i video delle nostre performances, che non durano mai molto, perché la finiamo sempre a parlare di arte. Lui è come un treno, ha un’energia trascinante, lavorare con lui è sempre intenso e stimolante. Io dico che è un genio. Come Gregory Corso, che ha scritto dei testi meravigliosi: sono stato il suo chitarrista, lo accompagnavo in tournée, era davvero una persona speciale, e un grande poeta, che ha dato voce al desiderio di ribellione della beat generation conservando l’amore per la bellezza.
Non solo cinema però…
Ho scritto anche le musiche di scena per “Tiny Alice” di Edward Albee – l’autore di “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, tre volte Premio Pulitzer per il teatro – che ha debuttato al Mercadante di Napoli con la regia di Abel (Ferrara), con un ensemble di archi. È bello avere tante cose da fare, per un periodo della mia vita ero praticamente disoccupato, e ora se dovessi accettare tutte le proposte dovrei prendermi degli assistenti. Ma preferisco fare solo le cose che mi interessano davvero. Ed è un meccanismo che funziona anche al contrario, perché le persone che si rivolgono a me sanno già che potrei dar loro quello di cui hanno bisogno prima di mandarmi il copione.
Da cosa scaturiscono le idee musicali per un film?
La mia musica nasce dalle visioni che suscita in me una storia, un’emozione, la lettura di un libro o di un copione. E preferisco il cinema indipendente, dove si lavora a stretto contatto con il regista, e si ha una maggiore autonomia; sono e preferisco restare fuori dai meccanismi del mercato, per scegliere i progetti (sono particolarmente soddisfatto dei miei film italiani: “La prossima volta il fuoco” di Fabio Carpi e “Siluro rosso” di Mara Chiaretti) e continuare a fare concerti e suonare la mia musica, in totale libertà.
E mentre i riflessi del fuoco si stagliano tra le ombre delle pietre, questo cittadino del mondo dai molteplici talenti che si è confrontato con lo sfaccettato universo dei media, dalla radio alla televisione, per approdare al cinema senza dimenticare la fatica quotidiana dell’essere artista, lo studio e la ricerca, indugia a riflettere sul destino della sua patria d’adozione, l’Italia, ma anche della musica, dove la tecnologia rischia di sopraffare l’ispirazione. E mette l’accento sulle risorse fondamentali: «tecnica e fantasia, per trasmettere le emozioni che sono l’essenza di quel che è più universalmente umano». Insieme alla libertà (d’espressione) e il desiderio di sperimentare.